Oscar: Laura Pausini candidata con “Io Si”

Con il Golden Globe appena vinto, e la gioia ancora nel cuore, un altro ambito premio, forse il più importante, potrebbe portare Laura Pausini ad arrivare dove nessun altro cantante italiano fino ad ora è arrivato, gli Oscar. Dopo essere entrata nella shortlist dei prossimi Oscar, la cantante emiliana dovrà vedersela con le sole altre quattro canzoni finaliste: ‘Fight for you’ da ‘Judas and the blackmessiah’, ‘Hearmy voice’ da ‘The trial of the Chicago 7’, ‘Husavik’ da ‘Eurovision song contest: the story of fire saga’ e ‘Speaknow’ da ‘One night in Miami’. Se nella magica notte tra il 25 e 26 aprile, si aggiudicasse l’Oscar, sarebbe la prima volta per una canzone cantata in italiano. “Una canzone in italiano nominata agli Oscar!!!! Sono così onorata di rappresentare l’Italia in una delle cerimonie più importanti dell’industria dell’intrattenimento mondiale” ha twittato l’artista subito dopo l’annuncio “Sapere che sono nominata agli Oscar va oltre qualunque desiderio o aspettativa potessi sognare”. Una canzone che ha avuto un ruolo importantissimo per l’artista romagnola, che prima dell’estate aveva smesso di fare musica e persino di ascoltarla a causa del lockdown. Ha raccontato: “Sophia Loren mi ha detto: tu non devi cantare una canzone, devi essere la mia voce nell’ultima frase del film. Ha creduto in me, mi ha voluto e mi ha scelto, lei così attenta a ogni dettaglio, così puntigliosa. Un’intesa perfetta, e pensare che in questo anno non ci siamo mai incontrate di persona: non ce n’era bisogno e comunque non si può. Io avevo sempre detto no al cinema, spesso la canzone non c’entra niente col film. Forse me lo sentivo che un bel giorno sarebbe arrivata una cosa del genere, una storia piena di significato, un messaggio forte di inclusione. E poi, accidenti, io sarò anche Laura Pausini ma lei è la Loren”.

Nicola Massaro

Oscar 2017: vince Moonlight, 6 statuette a La La Land, miglior trucco a due italiani

Anche quest’anno sono stati assegnati i premi Oscar. La serata si è svolta al Dolby Theatre di Los Angeles, in California. L’idea della statuetta più famosa del mondo cinematografico venne ai fondatori dell’Accademia delle arti e della scienza del cinema e fu proprio un dirigente dell’Accademia, Cecil Gibbons, che fece la bozza di un uomo che stringeva sul petto una spada,  facendola poi realizzare dallo scultore George Stanley.

È stata una serata memorabile, surreale è dir poco, una di quelle che se l’avesse scritta il migliore degli autori, non sarebbe mai riuscita così bene. L’89esima edizione degli Oscar sarà ricordata per un errore che è arrivato nel finale che in uno show televisivo non è mai stato così “grande”. Poco dopo le sei del mattino, orario italiano, per celebrare i cinquant’anni di uno dei film più popolari della storia di Hollywood, Bonnie&Clyde (di Arthur Penn), salgono sul palco i protagonisti Warren Beatty e Faye Dunaway per annunciare il vincitore della categoria più importante, il Miglior Film. È Beatty ad annunciare la vittoria di La La Land, il musical di Damien Chazelle che per questa edizione ha ricevuto quattordici candidature, diventate poi sei statuette. Seguono applausi e lacrime con l’intero cast sul palco e i produttori che ringraziano con tanto di Oscar in mano. Stiamo per andare a dormire e spegnere la tv, ma all’improvviso c’è qualcuno sul palco che segnala l’errore. Incredibile, ma vero, il vincitore non è il film di Chazelle, ma Moonlight di Barry Jenkins, gridato al mondo con un vero e proprio colpo di scena. Come è stato possibile? Presto arriva la spiegazione: Warren Beatty ha ricevuto la busta sbagliata. Quella precedente, con l’annuncio della migliore attrice sulla quale c’era scritto “Emma Stone, La La Land”. A confermare il tutto, il presentatore della serata, Jimmy Kimmel, che mostra la busta – quella giusta – con il nome del vero vincitore, e saluta il pubblico dicendo che sapeva che “avrebbe rovinato il tutto prima della fine”. Promette tra lo stupore generale di “non tornare mai più”.Alla fine, però, la premiazione di “Moonlight” è apparsa più in linea con una serata che si è trasformata in una critica costante del presidente Trump. Alla vigilia infatti diversi osservatori avevano avanzato l’ipotesi che avrebbe vinto il film che raccontava la storia di un giovane gay nero di Miami, perché l’Academy voleva prendere una posizione politica, e la storia d’amore interpretata da Emma Stone e Ryan Gosling sembrava fuori dal tempo.

Niente Oscar per “Fuocoammare”, il toccante film di Gianfranco Rosi che lo scorso anno conquistò l’Orso d’Oro al Festival di Berlino, ma guai a parlare di delusione, perché essere lì è stata già una vittoria. Senza ombra di dubbio, il film è un indiscutibile successo internazionale che ha fatto conoscere al mondo gli sbarchi di Lampedusa e lo straordinario lavoro di Pietro Bartolo, il medico che da oltre venticinque anni accoglie i migranti “nell’isola degli sbarchi” vivendo in prima persona quella che è stata definita la più grande emergenza umanitaria del nostro tempo.

L’Italia può però ritenersi a suo modo soddisfatta, perché è riuscita ad assicurarsi l’ambita statuetta per l’hair&make up: a vincerla, assieme a Christopher Nelson, Alessandro Bertolazzi e Giorgio Gregorini per il blockbuster “Suicide Squad”. “Sono un italiano, sono un emigrante e lo dedico a tutti gli emigranti come me”, ha detto Bertolazzi nel suo discorso di ringraziamento. L’italo-americano Alan Barillaro ha vinto l’Oscar per il miglior Cortometraggio d’animazione grazie al sorprendente “Piper”, il corto prodotto dai Pixar Animation Studios che racconta la storia di un piccolo piovanello che deve imparare a procurarsi il cibo e affrontare la propria idrofobia sotto lo sguardo amorevole della sua mamma.

Nicola Massaro

seers cmp badge