È stato un fenomeno che non ha precedenti quello della canzone di contestazione di un gruppo di rapper attivisti thailandesi che si fa chiamare “Rap Against Dictatorship”; il pezzo, “What my Country’s got”, ha colpito al cuore il regime militare di Bangkok che a seguito di un colpo di stato nel 2014, si è insediato nel Paese.
La sfida lanciata al governo è diretta. La canzone denuncia la rovente tensione sociale causata perlopiù dalle politiche repressive e dalle elezioni rinviate dopo il colpo di stato. Ma è una scena del videoclip in particolare a diventare simbolo di questa protesta. Si tratta della rielaborazione di un episodio tristemente emblematico nella storia della Thailandia: il linciaggio nell’ottobre del 1976 da parte della polizia e delle milizie di estrema destra di uno studente dell’Università Thammasat di Bangkok.
Le immagini di un corpo appeso ad un albero sono il simbolo di un Paese diviso in due.
Da un lato le proteste della gente nelle piazze, sempre più numerose, anche se caotiche e dominate da un senso di populismo troppo aspro, dall’altro l’élite accusata di essere corrotta, irresponsabile e poco trasparente, insomma, incapace di poter traghettare il Paese verso elezioni democratiche.
Questo sentimento antiregime così esplicito non era mai stato espresso prima ed è esploso con una forza incredibile, che ha oltrepassato i confini nazionali: oltre 50 milioni di visualizzazioni per un video fuori legge, girato e messo in rete in maniera rocambolesca, ma che in una settimana è diventato virale su web.
Le autorità hanno chiaramente reagito, minacciando con la reclusione fino a 5 anni, per vilipendio all’immagine del Paese e crimini informatici, chiunque avesse condiviso il video, ma, si sa, la rete è inarrestabile, tant’è che le intimidazioni non hanno fatto altro che rendere più popolare il video e, di conseguenza, il messaggio della canzone.
Così il regime ha deciso di cambiare totalmente registro, rispondendo con la produzione di altra canzone e altro video dai toni completamente differenti, un’apologia del governo in piena regola che mostra il progresso industriale e tecnologico della Thailandia degli ultimi anni, tra sorrisi e cieli azzurri.
Un tentativo mal riuscito, però, perché la canzone del governo non ha incontrato alcun favore da parte del pubblico, soprattutto delle giovani generazioni.
Tuttavia, da quando è esploso il caso di “What my Country’s Got” in Thailandia, dove sono ancora vietate le campagne politiche, nuovi raggruppamenti hanno ottenuto le autorizzazioni necessarie per potersi registrare come partiti ed è aumentato l’attivismo pro democrazia.
Questa canzone, dunque, potrebbe aver dato una scossa notevole al dissenso popolare che ormai serpeggia in Thailandia, anche se il processo di democratizzazione, pur se innescatosi, pare essere ancora saldamente nelle mani dei militari e l’ambiente delle future elezioni potrebbe essere da questi molto influenzato.
Rossella Marchese