La sera di Natale 2016, il teatro Augusteo a Napoli era un pullulare festoso. Foyer gremito, famiglie, tanti giovani pronti a riempire platea e galleria per l’ennesimo “tutto esaurito” che si ripeteva dall’esordio avvenuto sei giorni prima.
“Italiano di Napoli” è l’ultimo lavoro teatrale di Sal Da Vinci, icona della rinnovata scuola etnica e popolare, avviata a Napoli dal padre Mario agli albori degli Anni Sessanta. Lo spettacolo è iniziato con un confronto proiettato in digitale fra il prototipo di un’artista nazionale e il suo alter ego partenopeo. I profili impegnati in una gag di estrazione televisiva si identificano nel cantattore Sal che incarna il messaggio del progetto: avvicinare Napoli e il “napoletano” ad una realtà nazionale integrata.
Lo scopo si realizza in una ricostruzione di una fabbrica dismessa, una industria dei sogni rappresentata da un’Italia dismessa anch’essa ma speranzosa di rientrare sulle ribalte degli antichi splendori. Interpretata da una brillante Lorena Cacciatore impegnata in più riprese nel canto e nei testi. Decisamente nazional popolari e ricchi di scambi al fulmicotone, quelli scritti dall’autore e amico Alessandro Siani che firma anche la regia della commedia musicale dove un ruolo essenziale e decisivo non limitato alla classica “spalla” è efficacemente assolto da Davide Marotta. Completa il poker nella prosa Lello Radice, abituale partner sulle scene calcate dal Da Vinci, questa volta impegnato ad interpretare il custode dell’abbandonato cantiere dei sogni.
Lo spettacolo ha una struttura musicale e coreografica imponente affidata nelle scenografie a Roberto Crea con le coreografie (molto belle) di Marcello e Momo Sacchetta e le luci di Francesco Adinolfi.
Alloggiati in un piano superiore rispetto alla ribalta i sei musicisti costituiscono la piattaforma acustica ideale per i brani interpretati da Sal, arricchiti da un ottimo corpo di ballo da otto elementi dove figura anche il giovane figlio, Francesco Da Vinci. Ricco il repertorio musicale, tratto essenzialmente dall’ultimo album “Non si fanno prigionieri”, realizzato con la collaborazione di Renato Zero. Importante la presenza di Zero negli arrangiamenti di Da Vinci, a suo agio nella visitazione di “Più su”. Le cover dei grandi autori italiani contemplano anche Battisti (Io vivrò) e Mina (Se telefonando). Attento oltre modo e più rigido al centro del palco nelle riletture dei colleghi senior nazionali, Sal si scioglie, per la gioia dei suoi sostenitori che lo supportano nei cori e refrain, nei suoi brani.
Non potevano mancare gli accenni alla scuola dei classici partenopei con una latineggiante “’E spingule frangese” oltre una versione moderna di “Comme facette mammeta”.
Struggente e carico l’omaggio paterno, subissato dagli applausi, con le note di “Preghiera e na mamma”. Un’atmosfera resa elettrica dalle evoluzioni aeree di ballerine volteggianti sospese nel vuoto anche ad altezze importanti, ancorate a cavi trasparenti che innalzano i toni dell’adrenalina in platea. L’epilogo con il pubblico in piedi nella prolungata ovazione, vede il
giovane monarca del rinnovato canto di Partenope, ringraziare e salutare i suoi fans.
Riuscito l’esperimento di sdoganare gli antichi vezzi degli strali autoctoni neo melodici e compattare un pubblico di ampio respiro dialogante con la vasta filiera nazionale e popolare della canzone italiana. In scena sino al 15 gennaio uno show godibile ed esportabile in tutte le piazze della penisola.
Luigi Coppola