Tansgender: i coraggio di essere liberi. La storia di Marcello

“Io non mi sento a mio agio, questo corpo non è mio, quando mi guardo allo specchio non riesco a vedere la mia anima.” Marcello, trentotto anni, napoletano, racconta la sua storia.

Marcello, quanti anni avevi quando hai scoperto di essere attratto da persone del tuo stesso sesso?

Prima di provare attrazione verso una persona del mio stesso sesso, io ho da sempre sentito il desiderio di essere donna, al di là di tutto. Avevo solo 7 anni. Una domenica mattina stavo passeggiando con mia madre quando vidi passare una meravigliosa donna (ad oggi credo almeno al 7 mese di gravidanza) e nel guardarla provai una sensazione di invidia. Invidia, perché già a quella tenera età pensavo che quella di creare una vita dentro sé fosse la gioia più grande che una donna possa provare e che io, essendo maschio, non avrei mai potuto provare una sensazione simile. Diventando grande, questa voglia di voler essere donna cresceva sempre di più, ma, allo stesso tempo, è sempre stata una sofferenza per me perché mio padre non mi accettava. Mio padre era uno di quegli uomini che avrebbe preferito avere un figlio drogato anziché omosessuale. Mio padre ha sempre maltrattato me e mia madre. La sofferenza che mi porto dietro da bambino ha segnato tutta la mia vita. Avevo sedici anni quando provai a dire a mio padre che non sarei mai stato con una ragazza e che un giorno avrei voluto diventare donna a tutti gli effetti. La sua reazione fu tremenda. “Meglio avere un figlio delinquente o tossicodipendente, ma io un figlio come te non lo voglio, non l’ho fatto io”- disse – naturalmente, da bravo maschilista- facendo ricadere tutta la colpa su mia madre, dicendole che, non mi aveva concepito con lui o che, peggio ancora, non era stata una buona madre perché aveva fatto venir su “un uomo che non è uomo”, come diceva lui- adesso ho trentotto anni e sono stato in terapia dallo psicanalista (portato con la forza da mio padre) per ben tredici anni. Ho dovuto fingere di essere tornato etero o, meglio ancora normale, come voleva sentirsi dire mio padre. Odiavo quell’uomo. Solo due anni fa ho avuto il coraggio di andare via e prendere casa con mia madre. Mio padre è morto un anno fa. Io non riesco a sentire la sua mancanza. Ora vivo la vita che voglio.

Pensi di realizzare presto il tuo sogno?

Sì, presto andrò a vivere dall’altra parte del mondo, proprio perché il mio desiderio più grande è quello di diventare donna a tutti gli effetti e vivere tranquilla senza essere giudicata ogni giorno come accadrebbe se restassi a vivere qui in Italia. Voglio potermi guardare allo specchio e vedere la mia anima nel corpo giusto. Voglio poter essere me stessa e con chiunque, senza dovermi nascondere o vivere con il terrore di essere giudicata, maltrattata. Voglio scendere per le strade della città vestita da donna, truccarmi e portare tacco dodici di Jimmy Choo, poter interagire con altre donne ed essere considerata tale. Io sono una donna, lo sono sempre stata. Tra meno di un anno realizzerò tutti i miei sogni. Ma c’è un pensiero che mi tormenta: sono felice ora che mio padre non c’è più. Mi tormenta perché mi fa credere di essere una persona crudele, anche se mia madre mi ripete in continuazione che questo nostro stato di felicità ora è comprensibile perché quell’uomo ci ha reso la vita un incubo per anni. Molte persone mi dicevano che sono un debole perché solo a trentasei anni ho avuto il coraggio di andar via. Forse è cosi, ma chi non l’ha vissuto non può provare quello che ho provato io. Purtroppo io dipendevo mia madre che a sua volta dipendeva da lui. Lei non riusciva a mandarlo via, è come se avesse per anni avuto una sorta di dipendenza da lui e questo ha fatto si che di conseguenza anche io dipendessi da qualcun altro: da mia madre, ero morbosamente legata a lei e in realtà lo sono ancora tutt’ora. Non riuscivo ad andare via di casa finché non è venuta anche lei con me. E, soprattutto, la mancanza d’affetto che avevo da parte di mio padre ha fatto si che io mi sentissi sempre un po’ bambino.

Come hai trovato la forza di andare via nonostante tutto e di portare tua madre con te?

Ero stanco, esausto. Ero esasperato. Da quando sono nato non ho mai vissuto la vita che volevo e ho più volte addirittura pensato di farla finita ma un giorno, tornando da lavoro, trovai mia madre per terra con il labbro sanguinante e mio padre che dormiva sul divano con una bottiglia di liquore, allora pensai che se fossi finito io, nessuno avrebbe salvato mia madre. Avevo il sospetto, sin da bambino, che lui fosse violento con lei, ma mia madre aveva da sempre negato. Quando ti toccano la cosa che hai più cara al mondo, puoi arrivare a tirar fuori tutta la forza che non credevi nemmeno di poter avere. Mio padre, oltre ad essere una persona violenta, era un alcolista. Credo che in quel momento mi si sia annebbiata la vista perché mai avevo visto mia madre in quelle condizioni. Ad oggi credo sia stato un bene, forse, paradossalmente. Perlomeno quella vicenda ci ha fatto trovare il coraggio di andar via. Tutto l’odio represso che avevo provato da sempre nei confronti di mio padre l’avevo finalmente e improvvisamente scaricato in quel momento. Per la prima volta in tutta la mia vita sentii un senso di liberazione e soprattutto avevo io, anche se solo per poco, la situazione in mano. Presi mia madre per mano e racimolammo un po’ di cose da portar via e alloggiammo per qualche notte a casa di sua sorella fino a quando abbiamo trovato la casa dove finalmente abitiamo adesso. Dopo circa un anno mio padre morì con una brutta malattia. Sono ovviamente andato al funerale. Non ne sento la mancanza.

Adesso com’è la tua vita?

Decisamente migliore. Sono libera, almeno in casa, di essere come sono e dire ciò che voglio. Fuori casa ancora c’è qualcuno che mi giudica per come parlo o per come mi vesto. Ora che mio padre non c’è più io sono rinata e con me anche mia madre.

Nessuno ha il diritto di rovinare la vita degli altri e nessuno dovrebbe permettere al prossimo di farsi rovinare la vita. Mia madre era sua succube, la sua martire, la sua schiava. Lei ora è un’altra persona. Vederla sorridere, vestirsi e truccarsi come desidera, addirittura trovarsi un lavoro e uscire con le amiche, le sue nuove amiche, mi riempie il cuore di gioia. Adesso la mia vita ha un altro sapore, mi pento solo di non aver avuto prima la forza di liberarmene, avrei potuto iniziare a vivere molti anni fa. Anche se, per anni e ogni giorno, cercavo di fare il lavaggio del cervello a mia madre ma con scarsi risultati. Ho trascorso tanti anni vivendo così, soffriva lei e soffrivo io. “Mamma, fallo per me” le dicevo sempre. Lei mi guardava e piangeva e diceva che per me si sarebbe fatta ammazzare e che la cosa che più le faceva male era che non riusciva a reagire per suo figlio, allora mi supplicava ogni giorno di andarmene ma io senza lei non riuscivo a farlo. Adesso, la cosa che conta, è che entrambi abbiamo avuto la forza di andar via. Bisogna avere il coraggio di ribellarsi e di liberarsi di queste persone, maggiormente se fanno parte della famiglia, anche se è difficile. Personalmente, oltre a questa situazione demoralizzante con mio padre, io dovevo affrontare ogni giorno le critiche delle persone di quartiere, a scuola, al catechismo e in ogni luogo io mettessi piede. Ho subito atti di bullismo sin dalle elementari, e per me, vivere così dentro e fuori casa non mi dava la forza di lottare. Mi sentivo solo.

Come hai affrontato le critiche e i bulli?

Naturalmente ogni giorno andavo a scuola e ogni giorno subivo. Parole offensive, sgambetti, mi rubavano la merenda. “ Marcella 5 stelle” mi chiamavano. Perché amavo indossare braccialetti con dei ciondoli luccicanti e loro dicevano che somigliavano ai lampadari di un albergo a 5 stelle. Quando tornavo a casa, le persone del quartiere mi deridevano, e parlavano a bassa voce e c’era chi accennava un sorriso o chi addirittura rideva senza ritegno. Alcuni ragazzini con il motorino mi bloccavano e non mi facevano passare. Quando tornavo a casa, cercavo conforto dai miei genitori ma da mio padre ottenevo solo insulti. Mio padre litigava con tutto il quartiere per far capire loro che io fossi etero e che lui un figlio “anormale” non ce l’aveva. Intanto, però, continuava a trattarmi male perché diceva che dovevo parlare e camminare come fa un uomo. Mi iscrisse a calcetto, mi comprava giornaletti porno, ovviamente con immagini di donne. Credeva fosse una malattia, ne era convinto e lo è stato fino alla fine. Allora dopo questi lunghi tredici anni di terapia dallo psicanalista ho dovuto poi fingere di essere etero.

Non avevi nessuno amico che ti supportava?

A parte mia madre, avevo la mia migliore amica Alice. Per il resto ho avuto sempre problemi a relazionarmi con le persone, a crearmi amicizie e soprattutto ero molto insicuro e non mi fidavo di nessuno. Credevo, inoltre, di non essere capace a fare nulla, nemmeno di laurearmi e di realizzare i miei sogni, perché mio padre mi aveva da sempre fatto sentire un buono a nulla. Ora ho preso consapevolezza di ciò che sono e di quanto valgo e quindi di poter raggiungere qualsiasi tipo di obiettivo alla pari di chiunque altro. È una sicurezza che ho acquisito col tempo, quando mi sono reso conto della bella persona che sono. Alice è ancora la mia migliore amica anche se per un periodo lei è stata innamorata di me. Ma questo poco conta. Ora è sposata con Diego e hanno una bambina bellissima. Alice mi ha aiutato tanto nei momenti di sconforto, quando tutti mi andavano contro e quando nemmeno con mia madre potevo parlare perché era occupata a fare da schiava a quel mostro che aveva sposato. Se c’è una cosa che penso spesso è che se non avessi avuto lui come padre, la mia vita sarebbe stata completamente diversa, io sarei stata un’altra persona, magari più sicura di me. Adesso sono felice, anche se la morte di una persona dovrebbe portare sofferenza, io mi sento una persona nuova. Penso che per le cattiverie che si fanno prima o poi la vita ti presenta il conto tutto all’improvviso. E così è stato per lui. Spesso mi domandano come faccio ad essere così buona e altruista dopo tutto quello che ho subito dalla gente e soprattutto avendo avuto un padre così. La mia risposta è stata semplice: “proprio perché ho avuto un padre così, so bene come voglio essere, e di certo non come lui. Mi aveva rovinato la vita, avevo grandi ambizioni, volevo studiare biologia ma non l’ho mai fatto perché mi perdevo, mi smarrivo come se non riuscissi a mettermi sulla retta via e condurre una vita stabile. Ho quindi sempre lavorato come magazziniere. Mi sentivo disperso, la mia situazione personale e familiare mi faceva stare sempre male, ho praticamente vissuto da sempre in uno stato di disorientamento totale. Adesso sono già al secondo anno di università. Voglio riprendere la mia vita in mano. Non importa quanti anni io abbia e quanto ritardo possa fare nel realizzarmi. Conta solo quanto, da oggi in poi, quanto io possa vivere davvero come desidero. Ho solo paura di essere ancor più preso in giro ed emarginato una volta aver cambiato corpo, perché conosco storie di diverse persone che hanno avuto problemi ad inserirsi anche nel mondo del lavoro. Ma io credo che andrò via, oltre oceano, dove potrò sentirmi vivo davvero.

Alessandra Federico

 

Transgender: il coraggio di essere liberi

“Non mi hanno mai accettato, nemmeno la mia famiglia. Io sono un transgender ed è difficile vivere in questo mondo di pregiudizi, soprattutto quando nemmeno a casa ti senti protetto. Per questo motivo non sono riuscito a realizzare i miei sogni prima d’ora, mi sentivo perso, abbandonato. Messo al mondo e lasciato al caso. Adesso finalmente ho il coraggio di andare contro tutto e tutti”

Il mondo, fuori dalla propria casa, è spietato e disumano. Bisogna, dunque, tirar fuori le unghie per sopravvivere a tanta crudeltà. Ed è per questo che ogni bambino dovrebbe nascere in un ambiente sereno, lieto, protetto, sicuro e, soprattutto, senza qualcuno che lo sminuisca, per crescere ottimista e sicuro di sé, per avere la grinta e l’audacia per affrontare la vita. Ma quando non ci si sente accettati da chi ci ha messo al mondo, ci si sente smarriti, persi, e si finisce per avere poca stima di sé. Si rischia, inoltre, di portarsi dietro un senso di spossatezza, frustrazione e di vuoto d’animo che sarà poi difficile colmare una volta divenuti adulti. Ancora, si rischia di intraprendere strade sbagliate, pericolose, o, ancora più facilmente, perdere quella giusta, quella strada che si vorrebbe percorrere per realizzare i propri sogni. È sufficiente la mancanza di attenzione da parte di un solo genitore o, peggio ancora, parole offensive nei confronti del proprio figlio, per far si che quest’ultimo cresca con particolari fragilità e insicurezze che si porterà dietro per tutta la vita.

I genitori sono il punto di riferimento per ogni figlio, qualsiasi età egli abbia. Ma nel momento in cui anche nel proprio nucleo familiare non si ha l’opportunità di potersi rifugiare e farsi confortare, allora la vita può diventare davvero un inferno. È fondamentale, quindi, una volta raggiunta la maggiore età, andar via e cercare di ricostruirsi la vita, di reinventarsi e, soprattutto, fare una profonda riflessione su di sé per risolvere ogni trauma infantile, in modo da non permettere ai ricordi negativi del passato di ripresentarsi e farci male, per condurre una vita serena, per raggiungere i propri obiettivi, vivere relazioni sane e avere la forza di affrontare le malignità di chi ancora vive giudicando il prossimo. Purtroppo le persone, alcune persone, sono prive di sensibilità e di empatia, il loro giudizio è spesso inopportuno, le loro osservazioni risultano frivole e la loro visione è poco ampia per quanto sia complessa la vita. Vivere in un Paese dove ancora non si riesce ad accettare chi non è come tutti gli altri non fa altro che ostacolare la vita di alcune persone. Il transgender, ad esempio, viene ancora trattato come un essere diverso o addirittura viene considerato come un malato e spesso viene emarginato.

La diversità come normalità

Sembra si faccia ancora fatica ad accettare una persona che non è come tutti gli altri. Un transgender, ancora oggi, è costretto a lottare contro tanti pregiudizi, offese e atti di bullismo. Una vita da incubo quella che sono costrette vivere queste persone, perché sono addirittura, nella maggior parte dei casi, obbligate a cercare rifugio in qualche altro posto del mondo, che sia anche dall’altra parte dell’oceano, dove si è liberi di vivere anche fuori dagli schermi, dove non bisogna essere tutti uguali per essere accettati. Vivere con il terrore, con l’angoscia, con l’ansia di poter essere insultati e umiliati in qualsiasi momento e da chiunque, può diventare davvero un incubo.

Si definisce transgender colui che non si riconosce nel proprio corpo, che ha un’identità diversa dal suo sesso biologico. Il transgender non è solo chi muta il proprio sesso sottoponendosi a terapie psicologiche, ormonali e chirurgiche ma è anche chi che vuole sentirsi donna nell’anima. Chi non si sente a proprio agio nel proprio corpo trascorre gran parte della propria esistenza provando una sensazione di malessere, perché sente ostacoli nel sentirsi libera/o di condurre la vita che vorrebbe e di poter mutare la sua identità senza essere considerata/o come un essere diverso o inferiore. L’omosessualità non è una malattia: voler cambiare il proprio corpo, perché non combacia con il proprio animo, dovrebbe essere un diritto legittimo. Chiunque ha il diritto di vivere la vita che desidera, di essere chi vuole e come vuole. Questo risulta difficile soprattutto per chi ha avuto un’infanzia complicata, per chi, anche nelle mura di casa, non poteva sentirsi libero di essere chi voleva. Queste persone, una volta diventate adulte, compiono uno sforzo maggiore per vivere la loro vita, per trovare l’energia e la determinazione per combattere dentro e fuori casa per ottenere i diritti di una qualunque persona.

Ma la nostra infanzia quanto influenza la nostra personalità?

Chi siamo davvero!

Ognuno ha una personalità, una propria indole. Ma tutto ciò che si vive da bambini è capace di mutare gran parte del proprio carattere. Una bambina o un bambino ha bisogno di sviluppare una relazione profonda con una persona di famiglia. Ha bisogno, sin da piccola/o, di avere il suo punto di riferimento perché è importante per il suo sviluppo personale poiché influenzerà gran parte della sua vita. Se questo affetto viene a mancare, l’infante avrà paura di uscire dalla sua confort zone anche una volta raggiunta una maggiore età. Avrà poca fiducia di sé e degli altri, avrà problemi a creare relazioni d’amicizia ma soprattutto d’amore. Ancora, avrà timore di non riuscire ad essere capace di realizzare qualsiasi tipo di obiettivo. Quindi, i primi anni di vita di una persona sono fondamentali e possono influenzare la stima di sé stessi, le sue capacità di relazionarsi con gli altri per il resto della vita.

Alessandra Federico

seers cmp badge