Istruzione e disuguaglianze

Il rapporto della Commissione europea “Education and Training Monitor 2017” esamina la posizione dei diversi paesi membri rispetto agli obiettivi di Europa 2020 su istruzione e formazione (ET2020). Quest’anno l’attenzione si è focalizzata sulla diseguaglianza nell’istruzione.   Anche se molti Paesi europei fanno progressi su alcuni importanti indicatori come l’abbandono scolastico, la riduzione della diseguaglianza non sembra realizzarsi concretamente,  ma solo formalmente. Questo si riscontra osservando la quota di alunni che non raggiungono il livello di base nel test Pisa in lettura, matematica o scienze. Tale test è riconosciuto necessario per misurare un adeguato inserimento sociale e culturale delle giovani generazioni. I dati rilevano che la maggior parte degli Stati membri ha registrato tassi di successo più bassi nel 2015 rispetto al 2012. La media UE relativa alla percentuale di studenti con risultati bassi nella lettura è cresciuta dal 17,8 nel 2012 al 19,7 nel 2015, annullando i progressi realizzati dal 2009. Per quanto riguarda l’Italia, dopo i miglioramenti ottenuti tra il 2006 e il 2009, nel 2015 si ha un aumento rispetto al 2012 nella percentuale di studenti con punteggi scarsi in scienze e lettura. Tutto questo si concentra tra le famiglie con background socio-economico più svantaggiato: in media nella UE il 33,8 per cento di questi alunni si colloca nel quartile più basso dell’indicatore di status socio-economico e culturale (Escs), mentre solo il 7,6 per cento appartiene al quartile più alto, con uno spread di 26,2 punti percentuali e per l’Italia, è di circa 27 punti percentuali.

Le disuguaglianze di reddito e di benessere generano queste differenze e quindi si apre un’importante questione di giustizia sociale. Ancora oggi, nonostante la scuola di massa diffusa nei diversi Paesi europei e nel mondo occidentale, solo le famiglie benestanti fanno grandi sforzi per aiutare i propri figli a sviluppare abilità cognitive e non cognitive, scegliendo le scuole migliori, assistendoli nello svolgimento dei compiti, pagando lezioni di recupero o vacanze studio (shadow education). Tutto questo implica la necessità che vengano effettuati importanti investimenti in istruzione in favore dei bambini con differente background socio-economico familiare. Infatti, i suddetti sforzi, insieme alla rete di conoscenze familiari, consentono a chi ha un background più vantaggioso, a parità di capacità, di giungere anche da adulto posizioni migliori sul mercato del lavoro, rispetto a chi proviene da una condizione più povera. Ovunque i genitori fanno del proprio meglio per aiutare i figli, ma poiché non tutti hanno le stesse possibilità, le politiche pubbliche dovrebbero cercare di compensare i bambini con background peggiore. Oggi, molto resta ancora da fare per migliorare la qualità delle scuole nelle aree più svantaggiate, incentivando anche i docenti professionalmente migliori a prestare in queste scuole la loro attività, agendo in favore dei meno fortunati.

Danilo Turco

Iran: secondo l’Unione europea l’accordo sul nucleare iraniano funziona

Nonostante l’annuncio di Donald Trump sulla “de-certificazione” dell’accordo nucleare iraniano, l’Unione europea intende continuare a sostenere tale accordo reputandolo utile.

Secondo Donald Trump, l’accordo sul nucleare iraniano non è più funzionale agli interessi statunitensi e non è rispettato da Teheran, almeno nello spirito. Secondo Federica Mogherini – l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue – l’accordo nucleare con l’Iran funziona, essendo il prodotto d’intense negoziazioni focalizzate su dettagli tecnici. Teheran non ha commesso nessuna violazione e l’intenzione della comunità internazionale di riaprire i negoziati appare una strategia molto improbabile.

L’AIEA – l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica – un organismo con sede a Vienna e che è sotto l’egida dell’ONU, confuta il presidente Trump e afferma che il piano d’azione concluso nel 2015 è stato rispettato dell’Iran. Yukiya Amano – Direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica – ha affermato che l’Iran ha rispettato i suoi impegni e che l’AIEA ha un sistema di controllo particolarmente solido che ispeziona i siti iraniani in modo imparziale e obiettivo. Inoltre, il numero dei giorni dedicati alle ispezioni e il numero degli ispettori è aumentato.

Sin dal 2016 l’Agenzia internazionale è stata incaricata di sorvegliare le istallazioni nucleari iraniane seguendo un piano d’azione che è stato stabilito nel 2015. Secondo Yukiya Amano, fino a questo momento, l’Iran è stato collaborativo garantendo all’AIEA l’accesso a tutti i siti richiesti.

Danilo Turco

 

Catalogna: una mancata mediazione ufficiale da parte dell’Ue

Nessun ruolo d’intermediazione è stato proposto ufficialmente dall’Unione europea per la risoluzione delle tensioni tra il governo spagnolo e la Catalogna. L’Ue non vuole rischiare di incrementare le rivendicazioni autonomiste a livello regionale, né ledere la sovranità nazionale della Spagna.

Secondo la Commissione europea le tensioni tra il governo della Spagna e la Catalogna rappresentano una questione interna spagnola. Il Parlamento europeo si è dimostrato critico non soltanto sulle violenze perpetuate dalle forze di polizia, ma anche sul progetto indipendentista. Tuttavia, nessuna istituzione comunitaria e nessuno dei tre principali partiti del Parlamento europeo hanno richiesto un ruolo ufficiale di mediazione.

Secondo l’eurodeputato Alain Lamassoure – profondo conoscitore della questione basca ed ex deputato dei Pyrénées-Atlantiques negli anni ’80 –, lo svolgimento di una mediazione ufficiale potrebbe costituire un vantaggio per Carles Puigdemont. Inoltre, Lamassoure evidenzia come le istituzioni europee non intendano indebolire uno Stato membro sovrano. Il funzionamento dell’Ue si basa sull’unità e la stabilità dei suoi Stati membri. Bruxelles senza dubbio aspira a un dialogo tra Madrid e Barcellona; tuttavia, Lamassoure considera qualsiasi ingerenza negli affari spagnoli inammissibile, poiché non c’è stata alcuna violazione dello stato di diritto, né si sono verificate delle discriminazioni giuridiche.

Le immagini della violenza perpetuata durante il referendum hanno turbato il nord dell’Europa e hanno fatto ricordare scenari di tipo sovietico. Ciò nonostante – per timore di aprire il vaso di Pandora delle rivendicazioni autonomiste regionali – nessuna domanda è pervenuta da Parigi, Bruxelles o Berlino, sebbene la crisi sia così profonda e la posizione di Madrid rigida rispetto all’istanza indipendentista catalana (anche  se Puigdemont sembra aver rinunciato a una dichiarazione unilaterale di indipendenza).

La linea europea, di non prendere alcuna posizione su tale questione di politica interna della Spagna, è stata sposata integralmente anche dalla Svizzera. Per questa nazione, come per l’Ue, una facilitazione sarebbe ammissibile solo se richiesta dalle parti direttamente interessate.

Danilo Turco

Riforme per l’Ue: diritto d’iniziativa dei cittadini europei e finanziamento dei partiti politici

Importanti modifiche istituzionali sono state suggerite dal Presidente Juncker durante il discorso annuale del 13 settembre sullo stato dell’Unione.

Durante il discorso annuale sullo stato dell’Unione svoltosi lo scorso 13 settembre, il Presidente Juncker ha evidenziato la necessità di un progresso in senso democratico dell’Ue capace di consentire una migliore articolazione dei partiti europei. Cambiamento democratico è il titolo dell’ultima delle 10 priorità della Commissione Juncker. Per rinforzare la legittimità democratica all’interno dell’Ue mediante una maggiore partecipazione dei suoi cittadini, la Commissione europea ha adottato 2 proposte di riforma concernenti: il regolamento sull’iniziativa dei cittadini europei e, quello sui partiti politici europei e le fondazioni politiche europee.

Timmermans – Vicepresidente della Commissione – ha affermato che il fine è fornire ai cittadini dell’Ue gli strumenti di partecipazione al processo democratico. Pertanto, l’obiettivo è non soltanto abbassare il limite minimo per l’iniziativa dei cittadini europei da 18 a 16 anni (fornendo più opportunità a livello digitale per esercitare questo diritto ed eliminando molti oneri), ma anche migliorare i partiti politici al fine di informare meglio gli europei sul legame tra partiti nazionali e partiti europei. Il finanziamento dei partiti dovrà riflettere meglio le scelte democratiche fatte dai cittadini con le elezioni europee.

Il Trattato di Lisbona ha dotato i cittadini europei del diritto d’iniziativa. Mediante questo diritto, un numero minimo di un milione di cittadini può chiedere alla Commissione di proporre nuove norme europee e in questo modo contribuire meglio alla formulazione del programma politico europeo.

Sin dalla sua nascita nel 2014, la Commissione Juncker ha migliorato il funzionamento di questo dispositivo. Con il nuovo approccio, le decisioni sono adottate a livello politico dal collegio dei commissari e, in certi casi, è autorizzata la registrazione parziale. Solo l’iniziativa Stop Brexit è stata rifiutata dalla Commissione Juncker (non rientrando nell’ambito di applicazione del regolamento). Tuttavia, la Commissione ha cambiato la sua posizione iniziale, registrando l’iniziativa Stop TTIP (dopo il suo annullamento da parte della Corte di Giustizia dell’Ue).

Per agevolare la fase di registrazione dell’iniziativa, la Commissione coopererà con gli organizzatori al fine di garantirne l’ammissibilità. E’ prevista l’istituzione di un servizio on-line gratuito per la raccolta dati e un sistema identificativo elettronico anche per garantire la traduzione delle iniziative in tutte le lingue dell’Ue. Per agevolare la procedura, la Commissione ha intenzione di ridurre i dati e il numero di formulari richiesti (2 invece dei 13 attuali). Tali diversità dipendono dall’esistenza di regole differenti a livello nazionale.

La proposta di riforma dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee è funzionale alle richieste del Parlamento europeo, di contrasto a un impiego improprio dei soldi dei contribuenti europei (a volte, membri differenti di uno stesso partito nazionale hanno sponsorizzato la creazione di diversi partiti europei). Inoltre, non solo il sistema di ripartizione del finanziamento tra i partiti politici europei non è proporzionalmente adeguato ai risultati ottenuti alle elezioni europee, ma i partiti hanno anche difficoltà a raggiungere la soglia prevista per il cofinanziamento. La Commissione propone un incremento (dall’85% al 95%) del finanziamento allocato in base al risultato degli scrutini (nel sistema attuale il 15% del finanziamento è ripartito tra i partiti indipendentemente dal numero dei voti ottenuti). La maggiore trasparenza cui la proposta ambisce, richiede ai partiti nazionali di esporre sul loro sito sia il logo sia il programma del partito europeo cui sono collegati.

Le due proposte di legge presentate venerdì 15 settembre dalla Commissione devono ancora essere adottate dal Parlamento europeo e dal Consiglio. La Commissione spera in un dibattito rapido e costruttivo.

Danilo Turco

 

Ance: approfondire gli strumenti offerti dall’UE

Pronti a partire per Lussemburgo, Bruxelles e Londra per essere sempre più al fianco delle aziende nel percorso dell’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese italiane.
Il settore delle costruzioni ha una lunga tradizione nel nostro Paese e per favorire lo sviluppo del settore che può rappresentare un vero e proprio volano per la ripresa vanno ricercati sempre migliori strumenti e promosse le essellenze presenti. Proprio per questo Gerardo Biancofiore, presidente delle Pmi dell’Ance Comitato Estero (Associazione Nazionale Costruttori Edili) e presidente di ANCE Puglia e Foggia guiderà la delegazione impegnata in una vera e propria missione strategica per approfondirne ulteriormente la conoscenza e per veicolare idee e richieste delle aziende in programma dal 20 al 22 settembre. Trasporti, energia e ambiente, turismo, edilizia residenziale e commerciale, saranno i settori prioritari sotto i riflettori, esaminati alla luce delle opportunità di finanziamento.
“La nostra iniziativa – spiega Gerardo Biancofiore – avrà un taglio istituzionale e al tempo stesso pragmatico. Abbiamo da tempo messo in atto una strategia finalizzata alla crescita della presenza internazionale delle nostre PMI, con missioni in diversi Paesi, particolarmente in un’area dalle grandi prospettive di sviluppo per il comparto, come l’Est Europa. Con la prossima missione vogliamo consentire alle nostre imprese di affinare gli strumenti a loro disposizione, con una migliore comprensione delle diverse modalità di finanziamento assicurate dall’UE e delle molteplici forme di partnership realizzabili per dare concretezza ai progetti delle pmi. Come sempre, agiamo in un’ottica di sistema” Biancofiore prosegue dicendo “crediamo che favorire le aggregazioni tra le imprese e il consolidamento di relazioni proficue con realtà istituzionali e intermediari creditizi, a ogni livello, possa permettere al grande patrimonio di creatività e di spirito imprenditoriale dei nostri iscritti di continuare a manifestarsi con successo, proseguendo una crescita estera già in atto, anche per gli effetti della nostra azione”.
Alessandra Desideri

Unione europea: normativa roaming

Il 15 giugno l’Ue ha abolito i sovrapprezzi di roaming per coloro i quali si spostano all’interno dell’Unione europea. La nuova normativa Ue riguarda: servizi dati, telefonate, SMS e MMS.

La normativa europea sul roaming a tariffa nazionale – roam like at home – consente agli utenti  di non pagare costi supplementari all’interno del territorio Ue. I consumatori beneficiano di questo vantaggio per le telefonate (verso telefoni fissi e cellulari), per gli SMS e per il servizio dati secondo i termini previsti dal contratto sottoscritto. Un contratto con un operatore di telefonia mobile che include i servizi roaming, sarà automaticamente considerato un contratto di roaming a tariffa nazionale e ogni nuovo contratto di telefonia mobile dovrà applicare la tariffa nazionale ai servizi di roaming.

La nuova normativa Ue sul roaming itinerante è destinata alle persone che viaggiano occasionalmente all’estero e/o a quelle che hanno legami stabili (come lavoro o studio) anche con un altro Stato membro differente da quello in cui normalmente risiedono. Pertanto, la nuova normativa non riguarda il roaming permanente, ma le persone che trascorrono più tempo e usano di più il cellulare in uno specifico Stato Ue (quello in cui vivono abitualmente durante l’anno) invece che in un altro Stato membro. Per quanto riguarda il monitoraggio sull’uso corretto dei servizi di roaming, l’operatore è abilitato a monitorare l’attività di roaming degli ultimi 4 mesi dei suoi utenti. Se durante questo periodo un utente ha trascorso più tempo all’estero che nel suo Paese e il roaming supera l’uso nazionale, l’operatore può chiedere all’utente di chiarire (entro 14 giorni) la sua situazione.

I lavoratori transfrontalieri possono scegliere un operatore di telefonia mobile di uno dei due paesi che lo interessano e avvalersi del roaming a tariffa nazionale con una carta SIM del paese in cui vivono o di quello in cui lavorano. In entrambi i casi si applica la politica dell’uso corretto, a condizione che almeno una volta al giorno ci sia un collegamento alla rete nazionale, poiché varrà come giorno di presenza (anche se in quel giorno è prevista la partenza per l’estero).

Se un utente continua a trascorrere più tempo all’estero e ricorre di più al roaming rispetto che al traffico nazionale, l’operatore potrebbe applicare un sovrapprezzo al consumo in roaming. I sovrapprezzi sono soggetti ai seguenti massimali (IVA esclusa): 3,2 centesimi al minuto per ogni chiamata vocale effettuata, 1 centesimo al minuto per ogni SMS 7,70 euro per GB di dati (nel 2017).

Superata la frontiera tra due Stati Ue, l’operatore telefonico informerà l’utente sullo status del roaming e, inoltre, suggerirà di consultare le modalità per un uso corretto dei servizi roaming. La politica di un uso corretto del roaming consente agli operatori di applicare meccanismi di controllo equi, ragionevoli e proporzionali, al fine di evitare un abuso dei vantaggi previsti da questa normativa.

In caso del superamento di un particolare volume di dati roaming a tariffa nazionale, un sovrapprezzo potrebbe essere previsto, ma sempre pari al massimale previsto per i prezzi all’ingrosso in tutta l’Ue (7,70€ per GB nel 2017 – IVA esclusa – e, 6€ per GB – IVA esclusa – nel 2018). Il prezzo all’ingrosso per il roaming rappresenta il prezzo massimo che un operatore nazionale deve pagare a un altro all’estero, quando si usano i servizi di roaming dati. L’operatore telefonico è tenuto a fornire informazioni chiare sull’ammontare disponibile dei dati con il roaming a tariffa nazionale.

Con una carta prepagata per il cellulare, la tariffa roaming sarà uguale a quella nazionale, ma l’operatore potrebbe applicare un limite al traffico dati se il prezzo pagato è per unità e il prezzo unitario nazionale dei dati è inferiore a 7,70 € per GB.

Per conoscere il volume di dati utilizzabile all’estero senza sovrapprezzo, bisogna applicare una formula: dividere il prezzo del forfait per la tariffa all’ingrosso del gigabyte in vigore (7,7€ per GB nel 2017 IVA esclusa) e moltiplicare il tutto per 2. Ad esempio, se un piano telefonico comprende un volume illimitato di chiamate, SMS e dati pari a 42€ al mese (cioè circa 35€ IVA esclusa), il consumatore in questo caso beneficerà di almeno 9,1 GB di dati [2 x (35/7,7) = 9,1] senza sovrapprezzo all’interno dell’Ue.

Nel caso di tariffe molto convenienti (meno di 3,85 euro per GB nel 2017), l’operatore potrebbe applicare un limite di salvaguardia – uso corretto – del roaming. L’operatore deve informare l’utente preventivamente sul limite e avvisarlo anche al momento del suo raggiungimento oltre il quale sarà applicato il sovrapprezzo che corrisponderà al massimale previsto per i prezzi all’ingrosso (una ulteriore riduzione dei massimali è prevista dopo il 2018).  Nel caso poi, dei sistemi satellitari (privi di collegamento a una rete terrestre di telefonia mobile) non è prevista alcuna applicazione della normativa Ue sul roaming a tariffa nazionale.

Danilo Turco

Vertice annuale Ue-Cina: divergenze commerciali e cambiamento climatico

L’1 e il 2 giugno si è svolto a Bruxelles il consueto e annuale vertice tra l’Unione europea e la Cina.

Il vertice tra l’Unione europea (rappresentata dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker) e la Cina (rappresentata dal primo ministro Li Keqiang) – svoltosi l’1 e il 2 giugno a Bruxelles – serve a far progredire il partenariato strategico Ue-Cina su vari temi. Circa il cambiamento climatico, i due partner hanno riaffermato esplicitamente il loro impegno comune, anche se per il secondo anno consecutivo Cina e Ue non hanno redatto una dichiarazione congiunta.

Tra le questioni commerciali che hanno impedito la firma di tale testo, lo status di economia di mercato della Cina nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) si è rivelato essere il principale ostacolo.

L’Ue e gli USA rifiutano di accordare tale status alla Cina poiché esso consentirebbe l’elusione della normativa antidumping ora in vigore. Le divergenze in materia di commercio riguardano i livelli di sovrapproduzione e di esportazioni – spesso a prezzi molto competitivi e soprattutto nel settore dell’acciaio – raggiunti dalla Cina.

A dispetto della grande importanza riservata alla questione climatica, il risultato del vertice è stato offuscato. Tuttavia, Cina e Ue hanno confermato il loro impegno comune nel voler fornire una risposta all’instabilità della congiuntura internazionale e al “grave errore” dell’uscita degli USA dagli accordi di Parigi.

In teoria, l’Unione europea e la Cina si impegnano a ridurre l’impiego di combustibili fossili, a sviluppare ulteriormente le tecnologie verdi e a finanziare un fondo annuale di novanta miliardi di euro entro il 2020, al fine di supportare i paesi più poveri a ridurre i loro tassi di emissioni di gas a effetto serra.

Danilo Turco

Decadenza della cittadinanza nell’Unione europea

In seguito agli attentati terroristici commessi in Europa la decadenza della cittadinanza è diventata un tema molto discusso. Nella maggioranza degli Stati europei è prevista la possibilità di privare un cittadino della sua cittadinanza, ma non esplicitamente nel caso del contrasto al terrorismo.

Molteplici sono le motivazioni inerenti alla perita della cittadinanza in Europa, come ad esempio l’atto di slealtà o di tradimento verso lo Stato. Le disposizioni giuridiche sono differenti a seconda del Paese. Nell’UE, solo Francia, Paesi Bassi e Romania fanno riferimento in modo specifico al crimine di terrorismo. Ciò non significa che solo questi tre Stati possono privare della cittadinanza un cittadino che ha commesso un attentato terroristico. La competenza inerente alla decadenza della cittadinanza spetta al Ministro dell’Interno ed è discrezionale. Tuttavia il destinatario del provvedimento ha il diritto di fare ricorso. Il Belgio ha rinforzato le sue leggi nel 2015 affinché i crimini di terrorismo siano seguiti dalla decadenza della cittadinanza.

La frode nell’acquisizione della cittadinanza è un altro motivo che in Europa può privare una persona della sua cittadinanza. Tale condizione è prevista da 25 Stati UE, solo Croazia, Polonia e Svezia non la prevedono. L’impegno militare o l’integrazione in un servizio pubblico senza autorizzazione, sono per alcuni Paesi UE (Austria, Spagna, Francia, Grecia e Italia) cause di decadenza della cittadinanza.

Infine, diversi Stati membri limitano il possesso di più cittadinanze. La Germania ad esempio ancora oggi riconosce la doppia cittadinanza solo in specifici casi: coesistenza con la cittadinanza di altri Stati dell’UE e/o della Svizzera o, per i figli degli immigrati, che dal 2014 non devono più scegliere tra la nazionalità tedesca e quella del loro Paese d’origine prima dei 23 anni.

In particolari circostanze Germania, Austria, Danimarca, Spagna, Paesi Bassi e Paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania), prevedono la decadenza di una cittadinanza nel caso in cui un cittadino ne ottenga un’altra.

Molti Stati UE vietano l’apolidia nel caso di decadimento della cittadinanza. Il contrasto all’apolidia è oggetto della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, della Convenzione di New York del 1961 sulla riduzione dei casi di apolidia e, della Convenzione europea sulla cittadinanza del 1997. Gli Stati che hanno ratificato la convenzione del 1961 vietano l’apolidia. Francia, Lettonia, Paesi Bassi e Malta hanno codificato l’impossibilità de rendere apolide un loro cittadino.

 

Danilo Turco

 

 

Refugee Facility: uno strumento per la cooperazione tra Unione europea e Turchia

 

La Turchia, data la sua posizione geografica, è un Paese particolarmente interessato dalle attuali dinamiche dei flussi migratori. Questo Stato ospita più di 2.5 milioni di persone tra rifugiati e richiedenti asilo e ha già speso più di 7 miliardi di euro delle sue risorse per far fronte a questa problematica. Il 15 ottobre la Commissione europea ha raggiunto con la Turchia un’intesa per un Joint Action Plan al fine di costruire una cooperazione nella gestione dei flussi migratori sulla base di sforzi coordinati e per affrontare in modo più adeguato la questione della crisi dei rifugiati. Al Consiglio europeo del 15 ottobre 2015, i Capi di Stato e di Governo dei 28 Stati Ue supportarono l’accordo e il Piano d’azione congiunto. L’Action Plan individua una serie di condotte prioritarie e urgenti che l’Ue e la Turchia devono attuare mediante azioni congiunte e coordinate al fine di gestire l’ampio numero di persone che, sul suolo turco, richiedono protezione.

La Commissione europea il 3 febbraio 2016 ha accolto l’intesa tra gli Stati Ue sui dettagli relativi ai 3 miliardi di euro del Refugee Facility per la Turchia, un supporto che la Commissione suggerì il 24 novembre sulla base di una proposta di cooperazione Ue – Turchia per la gestione dei rifugiati. La Commissione ha concordato di aumentare il suo contributo a 1 miliardo di euro, rispetto ai 500 milioni in origine proposti a novembre. L’Ue ora sarà in grado di stanziare velocemente nuove risorse finanziarie a sostegno delle comunità ospitanti per far fronte alla presenza in Turchia di rifugiati siriani sotto protezione temporanea.

Lo strumento del Refugee Facility per la Turchia è la risposta alla richiesta del Consiglio europeo di un significativo finanziamento addizionale per supportare i rifugiati presenti sul suolo turco. Un meccanismo di coordinamento congiunto è previsto per le azioni finanziate con il budget dell’Ue e con i contributi nazionali degli Stati Ue al fine di garantire una gestione coordinata ed esaustiva delle necessità dei rifugiati e delle comunità ospitanti. Al fine di garantire il coordinamento, la complementarietà e l’efficacia dal punto di vista del finanziamento, il Comitato direttivo del Refugee Facility fornirà una guida strategica e deciderà quali tipi di azioni saranno supportate e mediante quali strumenti finanziari. Il Comitato direttivo sarà composto da rappresentanze della Turchia, degli Stati membri e della Commissione. Inoltre tale Comitato eseguirà il monitoraggio e la valutazione sull’implementazione del Refugee Facility.

L’assistenza fornita con il Refugee Facility sarà subordinata alla conformità da parte della Turchia dello Ue-Turkey Joint Action Plan, che mira a strutturare la gestione dei flussi migratori e ad arginare il fenomeno dell’immigrazione irregolare e, allo EU-Turkey Statement del 29 novembre 2015.

 

Danilo Turco

Trasparenza fiscale tra UE e Principato di Monaco

Il 22 febbraio scorso l’Unione europea e il Principato di Monaco hanno siglato un nuovo accordo in materia di trasparenza fiscale. Tale intesa rappresenta un successivo passo in avanti nella lotta contro l’evasione fiscale.

L’accordo prevede nel 2018 lo scambio automatico, tra Monaco e gli Stati membri, delle informazioni sui conti finanziari dei loro residenti. Questi dati saranno raccolti dal primo gennaio 2017. La formale sottoscrizione di questo nuovo accordo è prevista prima dell’estate, una volta che il Consiglio avrà autorizzato tale firma su proposta della Commissione. L’accordo evidenzia la volontà politica del Principato di Monaco di progredire verso una maggiore trasparenza fiscale.

Pierre Moscovici, Commissario europeo per gli affari economici e finanziari, fisco e dogane, afferma che “questo accordo rappresenta l’inizio di una nuova era nei rapporti tra Monaco e l’Unione europea. Noi condividiamo il medesimo obiettivo, combattere la frode a beneficio dei contribuenti onesti. Tale accordo concretizza il nostro obiettivo in modo equo ed efficace”.

Jean Castellini, Consigliere economico e finanziario del governo del Principato di Monaco, ha indicato che “questa sigla costituisce un nuovo esempio di politica gestita da Monaco al fine di contrastare l’evasione e la frode fiscale internazionale, onorando l’impegno di concludere accordi, in materia di scambio di informazioni, nel rispetto degli standard internazionali sviluppati dall’Unione europea e dal Forum mondiale dell’OCDE.”

All’interno del quadro del nuovo accordo, gli Stati membri riceveranno i cognomi, gli indirizzi, i numeri di identificazione fiscale e le date di nascita dei loro residenti che hanno dei conti presso il Principato di Monaco. Tra le altre informazioni condivise vi sarà anche il saldo di questi conti. La procedura prevista è conforme alla nuova normativa mondiale dell’OCDE e del G20 sullo scambio automatico di informazioni. L’incremento nella condivisione delle informazioni di questo tipo consentirà alle autorità di contrastare più efficacemente le frodi, fungendo contemporaneamente da deterrente per coloro i quali ambiscono a occultare capitali all’estero. L’Unione europea ha firmato accordi simili l’anno scorso con la Svizzera, San Marino, il Liechtenstein e nel 2016 anche con Andorra.

Diego Turco

 

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